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Lucca: “Studio Ibra e cerco di imitarlo: è il più forte. A FIFA però prendo…”

L'attaccante del Pisa e dell'Under 21 Lorenzo Lucca

Ecco le parole dell'attaccante dell'Under 21 azzurra e del Pisa Lorenzo Lucca ai microfoni de La Gazzetta dello Sport

Redazione Il Milanista

di Valerio Barberi

Ai microfoni de La Gazzetta dello Sport  ha rilasciato una lunga intervista l'attaccante del Pisa e obiettivo del Milan Lorenzo Lucca. Ecco le sue parole

Togliamoci subito il pensiero: conoscendo l'accesa rivalità, non soltanto sportiva, tra le città toscane, quante volte a Pisa hanno fatto battute sul suo cognome?

"Tante. Ogni giorno".

Cioè?

"La più frequente è: hai un brutto cognome, però vai bene lo stesso".

È nato a Moncalieri: è vero oppure no che è il piemontese da manuale, schivo e un po' diffidente?

"No, no. Io non sono piemontese al cento per cento. Mia mamma è di giù, i miei nonni sono per metà di Avellino e per metà di Grottaglie, in Puglia. Papà è torinese".

E lei da chi ha preso di più, da mamma o papà?

"Da mamma ho preso il fisico: lei è secca. Papà, invece, quando mangia troppo diventa un ciccione".

E l'altezza?

"Quella me l'hanno trasmessa entrambi. Vengono da famiglie sopra la media: mio nonno paterno è un metro e ottantasei".

Va bene, ma noi ci riferivamo al carattere…

"Ah, questo non lo so. Anche qui, penso di aver preso da tutti e due. Di sicuro non è vero che sono un tipo chiuso: a me piace scherzare, anche coi compagni di squadra più grandi. Se capita l'occasione li prendo pure in giro: ci sfottiamo a vicenda. Lo stesso con mio padre. Lui mi stuzzica dicendo che sono scarso, io rispondo che ho fatto più io a vent'anni che lui in tutta la sua carriera".

Perché, giocava pure papà?

"È sempre rimasto tra Serie D e Interregionale. Difensore centrale. Io invece fin da piccolo ho voluto far gol".

Da bambino con la fissa del pallone, la situazione in famiglia era quella classica, papà spingeva per il calcio e mamma per la scuola?

"I miei non mi hanno mai spinto verso nessuna parte. Mi dicevano di studiare e lo dicono tuttora".

E lei sta studiando?

"Non ce la faccio. Mi sono fermato alle Superiori, un istituto tecnico a indirizzo informatico, ma ho interrotto quando sono andato via di casa per giocare".

In ogni caso è stato papà a metterle il pallone tra i piedi…

"Sono nato col pallone tra i piedi. Ho cominciato al CBS Milan di Torino, una specie di scuola calcio legata alla società rossonera. Anche mio fratello, che ha 15 anni, adesso è partito da lì".

Quindi poteva finire al Milan?

"(Sorride) Nooo… La verità è che mi ha preso subito il Toro".

Ma lei per quale squadra fa il tifo?

"Io non tifo per nessuno (ridacchia)".

Facciamo finta di crederci. Dunque, il Toro la prende che ha 8 anni, ma ci rimane per poco: perché?

"Forse ci sono arrivato troppo presto. Sono maturato tanto, nella testa e come giocatore, soltanto negli ultimi anni. Da piccolo ero bassino e veloce, tanto che giocavo sull'esterno e non da punta centrale come adesso. Insomma, poteva starci che non rubassi l'occhio e fossi considerato uno come tanti. Sono cresciuto in altezza più avanti, e tutto di un botto. Infatti, prima di prendere parecchi centimetri, sono stato fermo per un bel po' per problemi alla schiena: solo dopo si è capito che era il segnale che stavo per esplodere in lunghezza. Mi sono alzato fino a 20 centimetri tutti insieme".

Succedeva a che età?

"Ho iniziato a svilupparmi sul serio dai 15 anni in avanti. Per fortuna, pur crescendo ho mantenuto agilità e coordinazione. Le considero le mie qualità migliori insieme alla tecnica. Per mia fortuna ho potuto affinarla grazie ad allenatori che l'hanno curata parecchio. Pochi si aspetterebbero che uno alto come me sia così tecnico".

Alto, tecnico, agile e bravo in acrobazia: sembra il ritratto di Ibra, che, come hai detto alla Gazzetta, è il tuo idolo.

"Per me è il più forte di sempre. Studio i suoi 'colpi' e cerco di imitarlo".

C'è un allenatore in particolare a cui deve dire grazie?

"Ricordo con piacere Alessandro Malagrinò, che mi portò all'Atletico Torino, nei Dilettanti, dicendomi: 'Se vuoi prendere consapevolezza dei tuoi mezzi, è venuto il momento di giocare sul serio. Devi fare un passo indietro per farne tre in avanti'. È stato lui a stapparmi, dando il via a tutto quello che mi ha portato fin qua. Ma devo fare molto di più".

In cosa sente di dover migliorare?

"Per arrivare ad alti livelli, in tutto. In particolare nei tempi di gioco e nelle scelte da fare. E poi devo riuscire a diventare ancora più tecnico".

A 20 anni ha lasciato la sua Moncalieri per spingersi fino a Palermo. È stata dura ambientarsi?

"Palermo è diventata una parte di me e lo resterà per sempre. È una città fantastica fatta di persone che mi hanno aiutato molto a crescere".

Numeri alla mano, non è stato duro neanche il salto dalla C alla B, l'estate scorsa: 6 gol nelle prime 7 giornate di campionato. Sinceramente, si aspettava un impatto simile con la B?

"Sì (ci pensa un attimo). Alle persone che più mi sono vicine, compreso Antonio Imborgia, il mio procuratore, l’anno scorso a Palermo avevo detto che volevo fare tanti gol: ne ho segnati 14 in 27 partite. L'obiettivo era di superare i 15 gol, ma mi sono fatto male e dopo mi sono ammalato di Covid. Senza questi problemi, sono sicuro che ce l’avrei fatta a mani basse. I miei obiettivi si identificano nei gol che riesco a segnare e i miei progressi li misuro con quelli, i gol".

Ma le botte in C fanno più male di quelle che si prendono in B?

"Boh. Finora non è mai successo che le abbia prese. Semmai le ho date".

Lo sa che la sua pagina su Wikipedia è soltanto in inglese? Vuol dire che è già famoso oltreconfine o che non lo è abbastanza in Italia?

"Non lo sono abbastanza in Italia".

Col suo fisco e il suo volto, nessuno le ha mai proposto di fare il modello?

"Sì".

Davvero?

"Davvero. Erano amici di mio padre".

E lei cosa ha risposto?

"Che volevo continuare a giocare al calcio. Sarà banale, ma è la cosa che ho sempre voluto fare".

Invece, di scegliere il basket o la pallavolo, ci ha pensato?

"Io non ci ho mai pensato, anche in questo caso me l’hanno chiesto gli altri. E io rispondevo di essere più bravo coi piedi".

Ci ha sempre creduto, che sarebbe diventato ciò che è oggi?

"Dico la verità: a dieci, undici anni, non pensavo che il calcio sarebbe stato il mio futuro. Giocavo tanto per. A un certo punto mi sono messo in testa di voler diventare un calciatore. Poi è arrivato Malagrinò, che a 16 anni mi ha preso con sé".

Cos'è che le dà davvero tanta fiducia in se stesso?

"Io mi aspetto tanto da ogni partita. Mi aspetto sempre di fare una grande prestazione e, soprattutto, di segnare. Capitano i periodi in cui la palla non vuol saperne di entrare, ma Imborgia mi ha insegnato che è proprio in quei momenti che non devi scoraggiarti. L'importante è procurarsi le occasioni per segnare: se ci riesci, prima o poi il gol arriva. Il guaio è quando non sei capace tu o non sei messo in condizione di tirare verso la porta".

Ha detto delle sue qualità in campo: e fuori?

"Sono come mi vedi. Dico le cose in faccia".

E il difetto?

"A chi non mi conosce bene potrei sembrare arrogante, poco umile. In realtà non è così".

Se si trovasse davanti a Lorenzo Lucca, che consigli gli darebbe?

"Di non pensare. Perché quando penso, sbaglio".

Non vuole che si parli di mercato, ma almeno risponda a questa domanda: in questo periodo non legge i giornali per non perdere la testa davanti alle voci che la vogliono un giorno di qua e uno di là?

"Io non leggo mai i giornali. Guardo le figure".

E quando ha saputo che il c.t. Mancini la tiene d'occhio e quasi pensava di convocarla, non ci fosse stata l'Under 21 che si gioca la qualificazione all’Europeo?

"Non avevo letto nulla, giuro. Poi una sera mi chiama Imborgia alle dieci e mezza e mi dice: non leggere queste cagate, perché sono vere".

Che cosa significa?

"Voleva dire che è vero che Mancini mi tiene d'occhio, ma per ora non mi avrebbe convocato. Quindi la notizia era vera, ma non si sarebbe tradotta in qualcosa di concreto. Perciò, voleva dirmi Imborgia, pensa a lavorare e non fare il fenomeno. Ma con me non c'è pericolo: ho una grande consapevolezza di me stesso, però non faccio il fenomeno".

Cosa c'è fuori dal campo nella sua vita?

"Matilde, la mia fidanzata. Ma c'è anche la Playstation: Fifa e Call of Duty".

E con quale squadra gioca a Fifa?

"Tutte".

Dai, è come la storia che non tifi: non ci crede nessuno. Perciò: con quale squadra gioca a Fifa?

"La Juve".

Possiamo dire che nel calcio nessuno le ha regalato nulla e ha fatto tutto da solo?

"Dove sono ora sono arrivato grazie a me stesso, ma alcune persone mi hanno aiutato soprattutto a livello psicologico. Però, sì, in generale non posso dire di aver ricevuto grandi incoraggiamenti".

Lorenzo, chiuda gli occhi: cosa vede?

"Nero".