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Caldara: “Dovevo recuperare era la testa, fracassata di insicurezze fisiche”

Mattia Caldara

Ecco le parole di Mattia Caldara alla pagina Facebook "Cronache di Spogliatoio". L'ex rossonero è tornato sui suoi infortuni

Redazione Il Milanista

L'ex difensore del Milan, attualmente in prestito al Venezia, Mattia Caldara ha scritto una lettera per la pagina Facebook "Cronache di Spogliatoio". Il difensore, in gol nell'ultimo match contro la Roma, è tornato sui suoi infortuni.

"Arriva un sabato, un sabato come gli altri. C’è allenamento, durante uno scatto sento un dolore lancinante al tallone. Penso: «Chi diavolo mi ha colpito?». Mi volto, ma c’è solo Patrick Cutrone a due metri di distanza. «Come ha fatto a prendermi!?», non capisco. E invece realizzo che no, non è stato nessuno. Il mio tendine d’Achille aveva ceduto. Non avevo sensazioni pregresse, fastidi, dolore. Quella è stata la prima, vera botta mentale. Ho compreso che non sarebbe stata una cosa da poco. Non sapevano se operarmi, erano giorni confusi e io ero in balia di tanti punti interrogativi. Il tendine era ancora attaccato al 10%, volai in Finlandia dal prof Orava che mi consigliò di non operarmi. Così sono stato 50 giorni con il gesso: fermo, immobile, senza poter fare niente. Privato per la prima volta di giocare a calcio. E per noi calciatori, il calcio è la vita. Un primo blackout. Mi misi l’anima in pace: non c’era niente da fare. Dopo 5 mesi inizio a stare meglio. Era ormai aprile. In allenamento sento che ancora non è finito tutto, ma miglioro. Finalmente torno in campo: c’è la Coppa Italia contro la Lazio. Durante la partita sembrava che nei mesi precedenti non fosse accaduto niente. Mi sentivo bene, eccome. Tutto il dolore si era sciolto all’improvviso: «Cavolo, sto così bene…». In settimana mi alleno al massimo, fiducioso. Ero appena tornato dopo 150 giorni senza calcio. Faccio un contrasto e niente, il legamento crociato collaterale decide di cedere. Buio. Mentalmente era come se fossi stato colpito da un meteorite. Da una spada che mi aveva appena trafitto. Lo sentivo: c’ero quasi. E invece eccolo, di nuovo, il baratro. Una botta ancora più dura della prima. Maligna, ipocrita. Era maggio, avevo già perso una stagione, quella del grande salto. Mi servirono alcuni giorni per realizzare. Proprio in quel momento iniziò anche il declino personale. Andai a Roma per fare riabilitazione, tornando a Milano a settembre inoltrato. Mister Giampaolo, di fatto, non l’ho neanche conosciuto, perché quando iniziai a essere più presente a Milanello, lui fu esonerato. Arrivò Pioli. Erano passati già tre mesi, ne servivano ancora due. Feci due amichevoli con la Primavera, ma lo sentivo: il ginocchio non stava bene. Sicuramente non era al 100%. Serviva tempo. Ancora. A gennaio parlai con il mister, mi disse di avere pazienza. Poi l’Atalanta mi contattò per darmi un’opportunità. Mi dissi che tornare lì, dov’ero cresciuto, dove conoscevo già il modo di giocare, mi avrebbe aiutato a reinserirmi più velocemente, sentendomi a casa. La prima cosa da recuperare era la testa, fracassata di insicurezze fisiche. La mia tenuta mentale andava ritrovata, ancor prima del ginocchio"