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D. Maldini: “Vorrei che tutti vedessero ciò che so fare. Su Leao…”

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Daniel Maldini ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di SportWeek. Dall’infanzia al Milan fino al momento attuale.

Redazione Il Milanista

Daniel Maldini ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di SportWeek. Dall’infanzia al Milan fino al momento attuale in prestito allo Spezia. Le sue dichiarazioni.

CARATTERE – «Di sicuro buono. E mi piace stare tanto con gli amici, farei di tutto per loro. Da piccolo ero vivace, pure troppo. A scuola era un casino. Elementari, Medie… Andavo per divertirmi e non per imparare. Io e lo studio non ci siamo mai presi tanto, purtroppo. Non è che mancassi di rispetto ai professori, il problema era che non stavo fermo e zitto. Però non ho mai perso un anno. Diciamo che sono stato aiutato, o forse semplicemente capito. Ribelle? Ma no, è che non pensavo a niente. Anzi, quel che pensavo, facevo. Anzi, probabilmente non pensavo a quello che facevo.»

RICORDI IL PRIMO PALLONE – «Sinceramente no. Ricordo qualche spezzone dei primi allenamenti al Vismara, dove si allenano le giovanili del Milan. Io stavo già coi più grandi. Ricordo il freddo, quello sì. Prima partita dal vivo? Anche qui, spezzoni. La finale di Champions del 2007 ad Atene contro il Liverpool, per esempio»

AMICI NEL CALCIO – «Nicolò Rovella. All’inizio era odio-amore, più odio che amore. Sarà che eravamo avversari in campo, ma, insomma, non mi piaceva tanto. C’era una specie di astio senza conoscerci davvero. Poi un amico comune ci ha fatti incontrare fuori dal campo e adesso ogni volta che torno a Milano ci vediamo. Abbiamo la stessa compagnia.»

AMICI NEL MILAN – «Mi vedo spesso con Leao e Saelemaekers. Rafa mi fa ridere perché non pensa a niente. Zero, zero, zero. È bello stare con lui. All’inizio portavo lui e Alexis in giro per Milano per fargli conoscere la città, i posti dove andare, i miei amici… È finita che Saelemaekers usciva da solo con loro

LEAO – «Ha fatto lo scatto in avanti quando ha capito di essere così forte

TI SENTI ADULTO – «Si. Diciamo che mi sento un ragazzo, ma con delle responsabilità. Come giocatore, cercare di fare il meglio per la squadra. Come uomo, essere un buon amico. Sicuramente, per il fatto di essere uscito da casa, mi sento più responsabilizzato rispetto a prima. Certe cose che davo per scontate adesso non lo sono più.»

VIVERE DA SOLO – «Vivo col mio miglior amico, Andrea. È venuto con me da Milano. Mi dà una grossa mano in casa. Con la cucina, per esempio: lui è quello bravo. Mia madre tiene tutto sotto controllo. Ma è soddisfatta. Mamma mi raccomanda di stare attento fuori dal campo, ma ormai c’è poco da raccomandarsi. A La Spezia sto bello tranquillo, era peggio a Milano… Papà mi chiede come va in squadra, come lavoro in allenamento. Mia madre la sento almeno una volta al giorno. Con papà ci sentiamo, sempre dopo le partite.»

SOGNO DA BAMBINO – «Le solite cose: giocare in A, in Champions, arrivare in Nazionale… Non è che sognassi qualcosa di preciso e in maniera ossessiva. Sono andato avanti passo dopo passo.»

STRADA OBBLIGATA NEL CALCIO – «Assolutamente no. Ho iniziato a giocare perché l’ho chiesto. E l’ho chiesto perché era la cosa che mi piaceva di più. Ho iniziato in casa e fuori. In casa e fuori. In casa, con papà e mio fratello Christian, abbiamo continuato fino a poco tempo fa. Quanti disastri abbiamo combinato… ero il più piccolo e gli altri due davano la colpa a me

SOGNI DI OGGI – «Vorrei che tutti vedessero quel che posso fare su un campo da calcio, probabilmente quello che non ho ancora dimostrato. Mi manca qualcosa. Adesso mi sento già meglio, più sicuro di me, più pronto

DIFENSORE COME IL PADRE – «No, no. Non mi è mai piaciuto difendere. Mi è sempre piaciuto avere il pallone. Ho fatto il trequartista, l’esterno d’attacco, la mezzala. Il ruolo preferito è il primo, ma fare la mezzala non mi dispiace per niente

COGNOME MALDINI PESANTE – «È certamente diverso che averne un altro, ma dipende da come la vivi. Io la vivo bene. Ho imparato a viverla bene. A volte è più pesante, altre è più facile. Come tutte le cose, ha i suoi pro e i suoi contro. Quante volte ho sentito dire: “Quello gioca solo perché è il figlio di”? Uff… Non credo smetterà mai. Ovvio, dipende anche da me che finisca. Conta sempre chi le dice, certe cose. A volte ho pensato: magari è vero. È vero e io non me ne accorgo. Ma la maggior parte delle volte me ne sono fregato.»

SOFFERTO PER ESSERE IL FIGLIO DI PAOLO – «No. Devi accettare la situazione. Ci saranno stati più “contro” che “pro” quando ero piccolino, ma finché vivi sereno… Forse io e Christian ne siamo stati condizionati, ma inconsciamente. Gente che mi si avvicina per incontrare Paolo? Sì, ma non mi cambia tanto. Anche qui, dipende da chi me lo chiede.»

ALLENAMENTI CON IBRA, KJAER E GIROUD – «Ti fa andare di più anche se non te ne accorgi. Soprattutto Ibra ti sprona fino a insultarti, ma non te la prendi perché sai che lo fa a fin di bene. Poi finisce l’allenamento e recupera. Ti viene vicino, ti abbraccia. Certo, quando è arrivato nessuno voleva fare le partitelle nella sua squadra. “Speriamo che oggi non tocchi a me”, ci dicevamo.»

PIOLI – «Pioli mi aiutava a star sereno, era sempre disponibile, mi spiegava come muovermi in campo. L’anno scorso a un certo punto qualcuno tra noi ha iniziato a parlare di scudetto, gli altri dicevano “no, no”, ma si vedeva che in cuor nostro ci credevamo tutti. Poi quando vinci contro le altre grandi, capisci che una volta può andarti bene bene, ma non sempre. Quello era un gran gruppo. Non vinci lo scudetto se non crei un gruppo unito. Si sta proprio bene in mezzo ai miei ex compagni

SPEZIA – «Cominciando a far punti fuori. In casa siamo tosti per tutti, fuori non solo non facciamo gol, ma neanche tiriamo in porta. Ma sono anche mancati per infortunio gli uomini di qualità: possiamo tirarci su