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Boban: “Milan? Non mi pento di nulla. Scudetto? Manca ancora qualcosa”

Zvonimir Boban

Ecco l'intervista completa ai microfoni di Sport Week di Zvonimir Boban

Redazione Il Milanista

Ai microfoni di SportWeek, settimanale del sabato de La Gazzetta dello Sport, è intervenuto l'ex dirigente e giocatore del Milan Zvonimir Boban. Ecco le sue parole

Palla a lei, ci spieghi in poche parole cosa fa oggi… E mi raccomando, niente dribbling - Quelli amavo farli in campo… A proposito: ha fatto caso che i centrocampisti non tentano più un dribbling? Gioco corto, palla laterale, palla indietro, ma poche verticalizzazioni e quasi nessuno salta mai l’avversario…”.

Ci arriviamo dopo, prima volevamo sapere dove vive e se quello che fa le piace - Si, mi piace, è sempre calcio, la passione della mia vita, anche se in chiave più istituzionale e politica. Avevo già ricoperto un ruolo simile per tre anni e mezzo in Fifa. Sono all’interno di una squadra fortissima, si parla tanto italiano perché il direttore calcio è Marchetti e il capo degli arbitri Rosetti, grandi amici e soprattutto persone che conoscono perfettamente la materia. Sono stato lusingato quando Ceferin mi ha chiesto di lavorare con lui, l’ho vissuto anche come un riconoscimento di ciò che avevo fatto prima. Vivo a Nyon, mi trovo bene. La tranquillità di questa cittadina mi consente di concentrarmi nel mio lavoro. Sono nell’ufficio del presidente e cerco di proteggere il calcio, a volte anche da noi stessi: i ritmi diversi, le scelte fatte negli uffici dei palazzi di vetro, le tante ore di riunioni in cui si studiano i documenti e le power presentation, possono far perdere facilmente l’anima. E invece non dobbiamo mai dimenticare che tutto parte sempre da un pallone fatto rotolare dai giocatori in un campo verde e che è un gioco del popolo: questa è stata e sarà sempre la mia visione del calcio. Non è populismo, e così”.

Nessuna nostalgia di Milano e del Milan? È passata l’amarezza per l’addio? - Sì, è passata, nella vita ci sono cose ben peggiori dell’interruzione di un rapporto professionale. Credo di aver sempre avuto spalle larghe e personalità per affrontare anche episodi negativi. Nessuno è privilegiato a tal punto da non portare mai una croce. Milano è sempre nel mio cuore e tifo Milan più di prima. La causa, ancora in corso, è con Elliott Funds, ma con il Milan non potrò mai essere in causa. Era, è e sarà sempre un grande amore, seguo tutte le partite e sono felice di vedere che i ragazzi che abbiamo scelto abbiano intrapreso un cammino importante. Non ancora a livelli da vero Milan, quello che avevamo in testa Paolo (Maldini, ndr) e io, ma è già una squadra che può competere. Erano necessari i classici tre anni per ripartire: nel primo si fa pulizia, il secondo è quello della costruzione, nel terzo puoi competere. Quello che è successo a noi tra errori, correzioni e processo di crescita”.

Parla del Milan usando il “noi”, come ne facesse ancora parte. Pentito di qualche passaggio finale della storia? - Quando dico noi penso al Milan, a me, Paolo, Ricky Massara: una bella squadra con uno spirito forte. Ma no, di ciò che ho fatto io, non mi pento di nulla. Per amore puoi sacrificarti, ma la dignità non va svenduta mai. Sulle scelte fatte poi dal club, il tempo mi ha dato ragione e la strada intrapresa adesso è corretta. Però servono sempre ambizioni da grande Milan”.

Il suo progetto si basava sul giusto mix tra linea verde e giocatori esperti, già fatti - “Nella notte della chiusura del mercato, quello dei giovani, avevo ammesso subito che ci mancavano 2-3 giocatori esperti. E già pensavo al mercato di gennaio”.

E a Ibrahimovic… - Con lui è cambiato tutto. La storia che il Milan sta vivendo adesso è figlia dell’arrivo di Ibra”.

Riavvolgiamo il nastro: quando ha avuto la certezza del suo ritorno? - Il 24 dicembre: alle 22.30 della vigilia di Natale squilla il telefono, leggo sul display il suo nome. Rispondo e mi fa: ‘Complimenti, tu e il Milan avete preso Ibrahimovic…’. Zlatan è unico, troppo forte, simpatico, guascone, ha una personalità che basta per una squadra intera. Per il vecchio Milan, quello che vinceva tutto, affidarsi a un 38enne di ritorno sarebbe stato assurdo, quasi patetico. Quel Milan avrebbe preso Haaland o Mbappé. Ma nel momento che il Milan stava vivendo, non esisteva un altro giocatore al mondo capace di cambiarne la storia e la mentalità meglio di Ibra. Il suo impatto è stato devastante. È un fenomeno e io personalmente lo ringrazierò sempre”.

Possiamo quindi dire che anche quest’anno, nonostante sia più ai box per infortuni che in campo, lo stipendio se lo guadagna tutto? - Senza il minimo dubbio. In campo o fuori la sua presenza è essenziale. Ovviamente so quanto soffre a non poter giocare, ma resta fondamentale per quello che trasmette e per come sta facendo crescere i giovani intorno a lui. Quando io arrivai al Milan avevo 22 anni ed ero già stato per due volte miglior giocatore del campionato jugoslavo, eppure mi dicevano che ero ancora giovane per reggere il peso di San Siro e che dovevo capire il calcio. Ed era vero. Oggi chi parla spesso non sa cosa vuol dire giocare in certi stadi, reggere le pressioni, portare una maglia che ha una storia enorme. Quando abbiamo preso Leao aveva solo 19 anni, normale gli servisse il tempo per rendere con continuità. È fortissimo e se il gol per lui diventa l’obiettivo e non la conseguenza, non ha limiti. Lo stesso discorso vale per Tonali, Theo Hernandez, Bennacer, Saelemaekers...”.

A proposito di Tonali: che cosa ne pensa? - Che è fenomenale. E anche per lui lo scorso anno è stato normale avere difficoltà. Era abituato a giocare nel Brescia perno centrale con due incursori, il Milan giocava col doppio centrale. È una cosa totalmente diversa. Ma se oggi il Milan ha più controllo delle partite è soprattutto grazie a lui. Guida la squadra, ha i tempi, sa quando giocare lungo e corto, è dominante fisicamente, difende. Sandro è già molto responsabile, deve solo divertirsi di più e può diventare un top mondiale”.

Tra i giovani c’è anche Daniel Maldini: esordio in A con lo Spezia e gol. E papà Paolo è saltato in tribuna come un tappo di champagne. Lo ha visto? - Sì e mi sono emozionato tanto anche io. In tribuna non c’era solo il dirigente del Milan, ma un papà. Tutti avremmo esultato come Paolo. L’ho sentito a fine partita, era strafelice. Conosco Daniel da quando era bambino. È stato fantastico, bellissimo, fiabesco, ma soprattutto milanista. Perché nessuno come la famiglia Maldini rappresenta la storia del Milan”.

Molti pensavano che insieme a lei potesse andare via anche Maldini - All’epoca ci siamo detti che qualcuno doveva restare a difendere la squadra, la bandiera e la cultura milanista. Meno male che Paolo è rimasto. È cresciuto tanto, ora è un dirigente di alto livello. Avere in società lui, come Baresi e Massaro, significa avere un vero cuore milanista che batte. È necessario, tra tanti amministratori, uomini di marketing, esperti di numeri e gente che non ama il calcio e capisce poco del Milan”.

L’a.d. Ivan Gazidis sta combattendo la partita più importante, quella della salute - Mi dispiace veramente tanto. Gli auguro che guarisca al più presto”.

Questo Milan può ambire allo scudetto? - Non credo, manca ancora qualcosa. Anche se il Milan gioca bene, ha ritmi di gioco e ha il controllo delle partite. Pioli ha fatto un ottimo lavoro. Secondo me, in certe partite più toste, si potrebbe sfruttare anche il 4-3-3 e una copertura diversa degli spazi. Le corse e le distanze sarebbero diverse e diminuirebbe il rischio di infortuni. Ma non mi faccia entrare in cose tattiche”.

È stato giusto rinunciare a Donnarumma? - Mai, non è da Milan. Fatico ad accettarlo pur essendo Maignan un ottimo portiere. Se pensiamo al Milan come grande club, allora non può perdere il migliore al mondo nel suo ruolo. Gigio è un fenomeno che può entrare nella storia del calcio. Non riesco a giustificare la sua partenza”.

Quanta percentuale manca ancora per tornare tra le big d’Europa? - Un 25-30%, da ricercare nella qualità degli uomini in certe posizioni e nell’esperienza in Champions”.

La favorita per lo scudetto? - Dico il Napoli, poi l’Inter. Hanno qualcosa in più delle altre. Il calcio può essere imprevedibile ma la logica dice questo. Ovviamente, non escludo a priori il Milan”.

Il Napoli vola con l’asse centrale Koulibaly-Anguissa-Osimhen. Ma li perderà per la Coppa d’Africa... - Spalletti troverà il modo di sostituirli, ha tanti giocatori importanti e lui è bravissimo. Il Napoli è una squadra cosciente delle proprie capacità. Tecnica, resistenza, fisicità, gioco: ha tutto. Mi piace tantissimo”.

L’Inter sta perdendo un po’ di ferocia, aggressività, ossessione per la vittoria? - Non credo. Spesso è la suggestione che danno le figure degli allenatori. Se hai Conte, pensi che tutti mordono e giocano. Antonio è bravo e ha una incredibile voglia, capacità e ambizione che trasferisce ai giocatori. Ma anche Inzaghi ha carattere, alla Lazio ha gestito personaggi non facili, facendoli rendere e restare umili. Dell’Inter non amo la difesa a tre, è un sistema che non mi piace, non ti permette di controllare il campo quando non hai la palla e devi difendere basso troppe volte. Ma la coppia Dzeko-Lautaro è strepitosa. Dzeko sa attaccare la profondità, sa fermarsi e mandarti in porta. Lukaku era più dirompente, più forte fisicamente ma calcisticamente Dzeko è un grandissimo giocatore. Non lo farà rimpiangere. Chi manca di più semmai è Hakimi”.

Ha citato Napoli e Inter, ma non la Juve. Come giudica il ritorno di Allegri? Le difficoltà iniziali sono alle spalle? - Non mi sono mai piaciuti i ritorni, di solito non vanno bene, però Max ha una particolare intelligenza calcistica tecnica e tattica. È un leader. Credo che possa migliorare tanto la Juve. Ma sta giocando soprattutto di rimessa: per poter condurre e controllare le partite servono dei giocatori a metà campo che lui non ha. La Juve ha cursori e qualità individuali, ma non chi le permetta di gestire le gare. Non credo possa lottare per lo scudetto”.

Quest’anno ci sono tanti allenatori di altissimo livello, tra loro uno dei più vincenti di sempre: Mourinho - Io lo adoro, e Mou fa benissimo al calcio italiano, è un personaggio straordinario e credo abbia riacquistato anche quella voglia di fare soprattutto l’allenatore. Negli ultimi anni l’aspetto mediatico e il ruolo di manager avevano preso il sopravvento”.

Manca qualche fuoriclasse alla Serie A per tornare grande? - I fuoriclasse aiutano, ma un campionato può essere bello e divertente anche se non ce ne sono tanti. L’Europeo è stato un insegnamento e uno stimolo per il calcio italiano: vedo partite spettacolari, ricche di gol, passione ed emozioni. È un campionato bellissimo, dove tutti vogliono costruire una storia personale”.

A sentirla parlare di moduli, giocatori, tattica, spazi, viene spontaneo chiederle perché non abbia fatto l’allenatore… - L’idea c’era. Feci il corso Uefa Pro a fine carriera, ma poi ho avuto una grande nostalgia della mia terra, pur amando l’Italia da morire. Sono tornato in Croazia e non c’erano le condizioni per allenare. Mi sono occupato di giornalismo guidando la nostra Gazzetta croata, poi la Fifa, il commentatore, il dirigente del Milan, ora l’Uefa. Sono rimasto sempre nel calcio, ma quando andrò via da questo mondo so che mi rimarrà il rimpianto. Credo che avrei potuto dare tanto come tecnico, senza falsa modestia… Ormai è tardi, ho 53 anni. È andata così”.

Spostiamoci dal campo a quello che gira intorno… Il calcio a livello economico è in crisi e tanti grandi club hanno bilanci disastrati. - La crisi economica del calcio è causata dalla pandemia. Ma ne parlano soprattutto presidenti e dirigenti di società che sono stati incapaci di controllare i conti e favorire il binomio squadre competitive e società sane. Sono proprio i club che in questi anni hanno incassato di più ad avere oggi le maggiori difficoltà. Il sistema ha perso tanti personaggi che il calcio lo conoscevano per sostituirli con Fondi, proprietà, a.d., manager che considerano i club aziende “normali”, mentre normali non sono. Il calcio muove grandi interessi economici, lo sappiamo: ma se ci entri solo con l’idea del business alla lunga perderai sempre perché significa che non lo conosci e non lo hai capito: sei finito nel posto sbagliato. Chi ragiona solo in base agli algoritmi, ai motori di ricerca, alla matematica si scontrerà prima o poi con la realtà del calcio dove un infortunio o un palo invece di un gol possono cambiarti una stagione. Il calcio è un mondo complesso… Ecco perché certe scelte di chi ci si avvicina con presunzione, a noi che il calcio lo conosciamo, risultano inaccettabili”.

Un giudizio sull’idea della Superlega, ormai fallita? - Un tentativo vergognoso, stoppato dalla gente prima ancora che dalle istituzioni. Anche se sono orgoglioso di come hanno reagito l’Uefa e il presidente Ceferin. Perché era una mera operazione di business per gli interessi solo di pochi e dimenticava valori, storia, tradizione, identificazione: aspetti che caratterizzano questo sport. Annullando quelle responsabilità sociali e culturali presenti e future che chi guida un club radicato nel territorio deve tener presente. E tutto perché questi miliardari hanno fatto male i conti del proprio club. Irresponsabili… Volevano tutto per sé, volevano cancellare i valori e americanizzare questo sport”.

Il calendario del calcio è già intasatissimo, si gioca ogni giorno. E la Fifa sta pensando anche a un Mondiale ogni due anni. Non si starà esagerando? - Sì. Io sono favorevole alle novità che migliorano il calcio, ma non bisogna essere ossessionati dal cambiamento, troppi parlano delle riforme senza sapere di che parlano. Se il calcio piace tanto è anche perché nei decenni è cambiato poco. Questa idea del Mondiale ogni due anni di Infantino e Wenger è assurda, peggiore anche della idea della Superlega, e sarebbe disastrosa per giocatori, Leghe, club e anche per il fascino della competizione. Spaccherebbe tutte le istituzioni calcistiche, una piramide costruita nei decenni. Un progetto con i paraocchi che non rispetta nessuno. L’Uefa non proporrà mai un campionato europeo ogni due anni anche se le porterebbe denaro. Quando ero capo calcio della Fifa non mi sono fatto strumentalizzare e ho proposto esclusivamente eventi a scadenza quadriennale. Il progetto della Fifa non è pensato per modernizzare il calcio, come dice Wenger che non lo capisce, è ideato per soldi, potere e malate ambizioni. Il calcio non è di Infantino né di Wenger, non è mio né tuo, il calcio è di tutti quelli che lo amano. Devono avere rispetto e fermarsi”.

Tra le novità c’è anche la Nations League: ma la gente fatica ancora a capire cosa sia - Capisco le perplessità dei tifosi, ma almeno, e senza cambiare i calendari, ha eliminato le amichevoli senza senso e ha fatto felici tante medie e piccole nazionali”.

Anche la Conference League creata dall’Uefa appare ai più una competizione minore di pochissimo fascino - È stata immaginata prima del mio arrivo, ma non la trovo strana come altre idee: è un torneo che permette a tante piccole squadre di competere in Europa e di finanziarsi”.

Agenti, mediatori e procuratori sono sempre più centrali. A volte sostituiscono addirittura i d.s. dei club nel preparare le trattative… E guadagnano cifre enormi - Il calcio è cambiato e agenti e mediatori servono. Detto ciò, alcune sproporzioni sono inaccettabili. Le regole andrebbero rispettate. Fifa e Uefa non riescono a controllare tutto. Se agenti e mediatori stanno proliferando però la responsabilità principale non è loro, ma dei dirigenti dei club che lo hanno permesso. Io non accuso gli agenti, ma il sistema calcistico. L’indole umana non cambia mai, ma tutti insieme, anche gli agenti seri, dobbiamo trovare una via migliore per proteggere il sistema calcio”.

Forse proliferano perché con agenti e mediatori molti dirigenti ci guadagnano? Girano tante storie… - Non posso escluderlo, magari posso pensarlo, ma senza prove non posso dirlo. Ammetto anche che certi personaggi sono diventati dei vampiri e servirebbero regole e controlli più severi”.

Chiudiamo col calcio giocato: Messi e Cr7, campioni eterni hanno cambiato squadra - A Messi, il più grande per me con Pelè, Maradona e Ronaldo il Fenomeno, il cambiamento farà bene. Il ritorno di Ronaldo nello United ha qualcosa di romantico. Godiamoceli ancora. È doloroso pensare a un calcio senza di loro. I nuovi grandi campioni non li immagino arrivare al loro livello…”.

Neanche Mbappé e Haaland? - Straordinari nella fisicità, velocità, resistenza, nel segnare… Ma non ai livelli di Messi e Ronaldo”.

Ma se dico che oggi uno come Boban varrebbe 120 milioni e ne guadagnerebbe 15 a stagione, che mi risponde? - (Zvone prende tempo, sorride… Negli occhi sembrano scorrere dribbling, assist, gol, trionfi di una grande carriera)

“Ciao, Andrea…”.