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Sacchi: “Prima il Milan poi il Napoli, vuol dire solo una cosa…”

Intervistato dalla Gazzetta dello Sport in edicola questa mattina, l’ex allenatore del Milan Arrigo Sacchi ha parlato dello scudetto del Napoli: da Maradona a Spalletti, passando per il gioco e… il futuro.

Sullo scudetto del Napoli

«Prima il Napoli ha vinto aggrappandosi a un singolo, a un individuo che era anche il più forte del mondo: Maradona, di quella squadra, era il faro. Se non c’era lui, non c’era luce. Adesso, invece, si è affidato al gioco, al gruppo, alla somma dei fattori. Per me si tratta di un notevole salto di qualità, di un’evoluzione. Chi l’avrebbe detto? Pochissimi, quasi nessuno. Il Napoli aveva ceduto pezzi importanti: Mertens, Koulibaly, Insigne. La maggior parte della critica e forse anche dei tifosi pensava che sarebbe stato un anno di transizione. Invece hanno compiuto un’impresa andata al di là delle previsioni. I dirigenti sono stati bravissimi: hanno preso giocatori poco più che sconosciuti, li hanno fatti crescere e li hanno inseriti in un contesto che Spalletti, nel frattempo, aveva saputo preparare con maestria. Così tutti i tasselli erano al loro posto. Inoltre, particolare che mi piace sottolineare, hanno speso molto meno di alcune rivali come l’Inter, la Juventus o la Roma. Non è un dettaglio, ma una virtù che va evidenziata».

Spalletti:

«Sì. È stato un maestro. Ha scelto un gioco, ha dato uno stile e ha saputo convincere i ragazzi a seguirlo. Per un allenatore è il massimo che si possa ottenere. Un pregio? Aver sempre creduto nelle proprie idee e non aver mai cercato un compromesso tra la strategia e la tattica. Il Napoli, salvo rarissime eccezioni, ha giocato bene, ha dato spettacolo, e ha vinto. E così ha dimostrato una lezione che vado ripetendo, inascoltato, da un po’ di tempo: se fai il tuo gioco senza aspettare l’avversario, e se lo fai bene, hai più possibilità di ottenere il successo».

Prima il Milan, poi il Napoli: Sacchi sul cambiamento del calcio italiano

«Che in Italia qualcosa si sta muovendo. Adesso pensiamo a fare il nostro gioco, pensiamo ad attaccare, interpretiamo il calcio come i padri fondatori lo avevano pensato e cioè come uno sport offensivo e collettivo. Con questa mentalità è logico che ci siano delle sorprese in positivo. Ora, però, massima attenzione al pericolo più grande: l’appagamento. Guai se i giocatori di Spalletti si sentissero già arrivati: questo non è che un passo a cui ne devono seguire molti altri se si vuole costruire qualcosa di straordinario».

Redazione Il Milanista

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