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Giudice: “Milan, manca una comunicazione empatica. Il punto di forza era..”

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Alessandro Giudice ha commentato sulle pagine del Corriere dello Sport la situazione attuale della società Milan.

Sulla società rossonera: “Il fallimento del Milan è organizzativo prima ancora che sportivo e può condizionare il futuro del club. Tre anni di gestione RedBird bastano a tracciare un primo bilancio. Alcuni, tra cui chi scrive, si aspettavano un’evoluzione del lavoro svolto da Elliott ma il Milan sembra tornato indietro. Da RedBird, investitore con esperienza di asset sportivi, ci si aspettava un salto quantico, una gestione più sofisticata sul piano sportivo oltre che del branding. Elliott aveva riorganizzato un club disastrato, ricostruendo dalle macerie, ma con una visione da investitore finanziario. Gazidis (e Furlani dietro le quinte) lo fecero applicando un approccio innovativo per il calcio italiano, con scelte razionali anziché istintive”.

Cosa è cambiato: “Il Milan faceva vanto della sua diversità: decisioni condivise, anche sul mercato, discusse da un gruppo di lavoro ampio in cui si confrontavano l’anima finanziaria e quella calcistica, rappresentata da Maldini e Boban, portatori di un punto di vista diverso dal rigore aziendale. La sintesi sembrò funzionare, finché le conflittualità portarono a separazioni traumatiche. Da RedBird, che a Furlani ha consegnato il ruolo di CEO in continuità con Elliott, ci si aspettava l’evoluzione verso modelli gestionali da Premier dove le decisioni sono condivise e le organizzazioni molto strutturate. Il Milan sembrava abbandonare i personalismi della Serie A per avvicinarsi alle best practices dell’industria. Si pensi che il Real ha 3.600 dipendenti e il CEO Sánchez uno stile riservato ma una presa fortissima sulla struttura operativa, lasciando a Perez le luci della ribalta. Il Liverpool (che RedBird conosce, essendovi coinvestitore con Fenway) ha una struttura robusta e modelli decisionali strutturati”.

Conclude: “Nel Milan, tutto sembra replicato in scala troppo ridotta, con l’area sportiva poco presidiata rispetto alle altre. Anzi, con l’uscita di Maldini-Massara (mai rimpiazzati, non tanto nelle scelte di mercato, quanto nella supervisione quotidiana della squadra) il gruppo di lavoro è diventato gruppetto, o triunvirato con job descriptions vaghe, senza nemmeno la diversità (magari scomoda, sgradevole, ma talvolta utile) del confronto da piani opposti di cultura aziendale. Senza confronto si vive meglio ma si rischia di scivolare nell’autoreferenzialità, perciò la diversità è talvolta ricchezza. Il Milan l’ha persa e anche l’uso dei dati (al di là delle sciocche ironie sugli algoritmi) sembra meno sistematico rispetto ai top club. Ad aggravare il tutto, manca una comunicazione empatica su politiche societarie, scelte, obiettivi, a favore di un approccio ermetico da ‘lasciateci lavorare’ che può anche premiare se i risultati arrivano ma diventa un boomerang nel caso opposto“. Intanto il Milan è pronto alla rivoluzione <<<

Giulia Benedetti

Calciofila per passione, giornalista per professione. Amo i dettagli e verificare ogni notizia prima di metterla nero su bianco. Appassionata di BundesLiga.

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