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Ventura: “Scudetto? Lotta a tre. Se devo scegliere, dico Milan”

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Gian Piero Ventura, ex allenatore della Nazionale Italiana, ha parlato in esclusiva ai microfoni del 'Corriere della Sera' oggi in edicola.

Redazione Il Milanista

Gian Piero Ventura, ex allenatore della Nazionale Italiana, ha parlato in esclusiva ai microfoni del 'Corriere della Sera' oggi in edicola. Queste le sue dichiarazioni.

Su Roberto Mancini ancora C.T. azzurro: «Ci sono tutti i presupposti per riprendere il discorso interrotto a Palermo».

Su cosa si sono detti dopo Italia-Macedonia del Nord: «Se ci siamo sentiti? No, non stavolta. Gli ho mandato un messaggio per gli Europei, gli ho fatto i complimenti».

Su come si passa da un Europeo vinto ad un Mondiale saltato: «C’erano stati dei segnali, negli ultimi mesi. Si faceva troppa fatica a far gol. Durante l’Europeo la squadra era coraggiosa, bella in alcune giocate, leggera. Contro la Macedonia quelle sensazioni sono diventate fatica, affanno, timore. Hanno perso certezze».

Sul rivivere Italia-Svezia del 2017: «Per certi versi sì. Ma il contesto era completamente diverso. Prima dei playoff la mia Nazionale era già contestata. Eppure io sono uscito con Svezia e Spagna, ma non mi piace fare comparazioni. Se poi penso a certe immagini: per esempio Gravina a Palermo era vicino a Mancini, al suo allenatore, gli ha dato sostegno».

Su cosa gli è rimasto di quella notte: «Ho sorriso in questi giorni leggendo alcune dichiarazioni, qualche giornale: “Nel calcio può succedere”, “Caccia ai colpevoli”. Nel 2017 ce ne era solo uno. Trovai scorretto dovermi prendere tutte le colpe. Ma ormai l’ho superato, spero che l’Italia torni presto tra le migliori squadre del mondo».

Sul calcio italiano: «Si è fermato un po’ sul piano delle idee, è meno divertente. C’è stato l’exploit di Gian Piero Gasperini con l’Atalanta, poi qualche anno fa il Napoli di Maurizio Sarri. Per il resto non mi sembra che sia un momento esaltante».

Sul problema più urgente da risolvere: «Abbiamo difficoltà a segnare e si criticano le punte, ma tra le prime sei squadre di Serie A non c’è nessun attaccante italiano. Ci siamo giocati la qualificazione al Mondiale con giocatori naturalizzati, segno che qualcosa non va, è evidente. Ma ne discutiamo solo dopo un fallimento, tra una settimana saremo di nuovo concentrati su Juventus-Inter. Servono delle riforme concrete, non basta parlarne, e un rapporto diverso tra i club e la Nazionale: non può essere vista come un fastidio, dovrebbe essere il riferimento di tutto il sistema. E poi ci sono troppe partite, spesso i giocatori tornano stanchi o infortunati. È come un gatto che si morde la coda».

Sulla soluzione da adottare: «Bisogna dare più importanza ai settori giovanili, deve prevalere la tecnica sulla tattica. Prima alle scuole calcio i ragazzini passavano ore col pallone tra i piedi, la tattica era l’ultimo dei problemi. Se non hai la tecnica come fai a giocare? I giovani devono avere tempo e spazio per crescere. Tra gli attaccanti della Nazionale molti non hanno mai giocato in Champions League. L’esperienza internazionale serve, ti dà consapevolezza. Col Decreto crescita sono arrivati tanti giocatori dall’estero, alcuni neanche così bravi. Mettere un freno ai giocatori stranieri nel nostro calcio, e così liberare alcuni ragazzi, può avere senso».

Sul ruolo degli allenatori in questa 'transizione': «Sono spesso in difficoltà, costretti ad ottenere tutto e subito perché senza risultati vanno a casa. Il binomio Ventura-Urbano Cairo al Torino ha funzionato perché io non avevo l’ambizione di arrivare chissà dove. La mia libidine era lanciare talenti: Davide Zappacosta, Alessio Cerci, Ciro Immobile, solo per fare qualche esempio. La società era in simbiosi con me. Così ha senso, ma di solito in Serie A un allenatore sa che rischia il posto senza risultati, quindi non perde tempo a far crescere i giovani».

ulla lotta Scudetto: «Credo sia una sfida a tre. All’Inter manca un vice di Marcelo Brozovic, ma per il resto è la squadra con la rosa migliore. A Torino contro la Juventus è decisiva: se vince può avere un’iniezione di fiducia importante, se perde diventa tutto più difficile. Il Napoli ha un organico di livello: Victor Osimhen è devastante, Zambo Anguissa è stata una felice intuizione, Kalidou Koulibaly è il miglior centrale d’Europa. Ma si è fermata in due scontri diretti. Al Milan invece c’è un connubio totale tra società e squadra: come giocatori sono più giovani, magari si pecca di inesperienza, ma è un gruppo vero. Per questo, dovendo scegliere, dico i rossoneri».