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Ambrosini: “Kakà? I campioni ti risolvono le partite…”

Massimo Ambrosini
Massimo Ambrosini, ai microfoni di On The Pitch, andato in onda sul canale Milan Tv, ha rilasciato una lunga intervista sul Milan

Redazione Il Milanista

Massimo Ambrosini, ai microfoni di On The Pitch, andato in onda sul canale Milan Tv, ha rilasciato una lunga intervista in cui ha ripercorso i momenti migliori in rossonero. Di seguito le sue dichiarazioni.

Sulla rete di Kakà:

“Quella partita era molto chiusa, molto fisica. Il compito di chi giocava dietro di lui era dargli palla, poi ci pensava lui. Il mio non era un assist, era un semplice passaggio: il 98% di quel gol è suo. I campioni sono fatti per quello. Il campione ti risolve la partita in un momento così, senza tanti schemi o tante cose. Il campione è quello che si prende quella responsabilità lì e ti svolta la partita”.

Su Weah:

“Non era arrivato giovanissimo lui al Milan, era arrivato quindi nel pieno della maturità fisica e mentale. Poi ha trovato un ambiente giusto per la sua personalità e aveva trovato Marco Simone che lo aveva accolto sia in squadra sia in casa, perchè nel primo periodo è stato da lui a vivere. Un giocatore straordinario”.

Sul goal di Weah contro il Verona:

“C’era anche incredulità in quel momento. Poi abbracciò un signore che era lì che lavorava e lo intervistarono il giorno dopo. Non sapeva chi abbracciare, era sfinito e abbracciò quel signore. Qualcuno stava andando, la partita era quasi finita. Un giocatore clamoroso, era in grado di segnare in area di rigore come prendere palla e fare gol. In quel momento era realmente ad un livello di onnipotenza clamoroso”.

Su Shevchenko:

“A differenza di Weah, lui era arrivato in un momento di vita diverso. George era un uomo, arrivava in un club con una forza fisica e mentale diversa. Sheva era un ragazzino, aveva fatto esperienza nel suo Paese. Entrava in una nuova realtà, in una nuova città. George arrivava da Parigi, Sheva da Kiev. Era un ragazzo molto timido che si approcciava anche alla lingua italiana con tutte le difficoltà del caso. Arrivava con grandi aspettative. Forse Sheva aveva in maniera marcata l’ambizione: aveva una tenacia e una forza mentale  straordinaria nonostante fosse un giovane. Il fuoco lui ce l’ha dentro. Aveva abitudini di vita e di educazione, è un ragazzo composto ed è difficile che esterni completamente quello che ha dentro, ma quello che ha dentro gli ha permesso di essere quello che poi è stato. Nella singola giocata, se tu hai qualcosa dentro la fai con una cattiveria e una determinazione che ti fa segnare dei gol, ti fa fare quello che ha fatto lui per anni”.