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Sacchi: “Bravo Milan, strada giusta. Le idee valgono più dei soldi”

Il Milan festeggia la vittoria sul Verona

Arrigo Sacchi ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport, nella quale ha parlato del Milan. Ecco le sue parole.

Redazione Il Milanista

Arrigo Sacchi ha rilasciato un’intervista ai microfoni della Gazzetta dello Sport sul Milane non solo. Ecco le dichiarazioni dell’ex allenatore rossonero:

Sul Milan primo in classifica con il monte ingaggi più basso rispetto alle concorrenti: “Bene così, le idee contano più dei soldi”.

Su come si può vincere senza spendere troppi soldi: “Vi racconto un aneddoto. Alla mia prima stagione da allenatore al Fusignano mi mancava il libero. Andai da un dirigente, che io consideravo un maestro di vita, il mitico Alfredo Belletti, e gli spiegai il problema. Lui mi disse: ‘Che numero di maglia ha il libero?’. ‘Il 6’. Andò a prendere la maglia e dandomela concluse: ‘Adesso, se sei bravo, il libero lo costruisci con il lavoro e con le idee’. Non c’erano soldi, dunque non c’erano alternative. Quell’anno vincemmo il campionato”.

Si deve aguzzare l'ingegno se non si hanno soldi: “Proprio così. Dovrebbe esserci una regola che dice alle società: non si possono fare debiti. Per essere competitivi è importante avere intuizioni, passione, spirito di sacrificio. Ma in Italia siamo rimasti alla furbizia come qualità principale”.

Sul brutto costume che c'è in Italia: “Qui da noi bisogna vincere a ogni costo, anche facendo debiti, anche giocando male, anche fregando l’avversario. Ma non è giusto. In Spagna, ambiente che conosco bene, se vinci giocando male, il pubblico ti fischia: l’ho provato sulla mia pelle. In Italia, invece, ti applaudono. E la colpa, credetemi, è di tutti: Presidenti, dirigenti, allenatori, giocatori, tifosi e giornalisti. Con questo andazzo, però, non si cresce: bravo il Milan che ha invertito la rotta e sta cercando di diventare una squadra di livello internazionale attraverso il rispetto di banali regole economiche, che applicherebbe ogni buon padre di famiglia”.

Quando fece vendere due giocatori che pensavano solo ai soldi: “Mi capitò a Parma. Erano due ragazzi che erano con me da cinque anni, ma ormai nelle loro teste c’era soltanto l’ingaggio, non più il calcio. Li mandammo via e non ci furono conseguenze negative sul piano dei risultati, anche perché per me il leader è sempre stato il gioco, non il singolo giocatore”.

Quando allontanò dal Milan un giocatore perché non si comportava da professionista: “Già, dissi a Silvio Berlusconi che andava benissimo la riserva di quello che avevamo mandato via. Berlusconi mi disse: ‘Ma è meno bravo’. E io: ‘Sì, ma è più affidabile. Lei lo vorrebbe un collaboratore poco affidabile?’. ‘No’. ‘E allora perché lo vuole dare a me?’. Prima di scegliere un giocatore, ho guardato la persona perché sono stato convinto che i piedi li puoi migliorare, ma la testa no”.

Sul contratto firmato in bianco quando fu ingaggiato dal Milan: “Esatto. Non volevo dei giocatori avidi e dovevo dimostrare che non lo ero neanch’io. Il Milan, scegliendo elementi giovani e poco conosciuti, ha preso una direzione precisa: si punta sul gioco; se si fa male uno, entra un altro e non si fanno drammi; conta il collettivo, non il singolo. Questa è la strada per arrivare lontano, altro che spendere soldi per acquistare questo o quel campione, che poi magari non è neanche un campione”.